Depressione e Insonnia.

Negli ultimi trent’anni, gli psicologi e i neurobiologi che si sono occupati di depressione hanno dimostrato sperimentalmente che alcune alterazioni del sonno sono associate alla sindrome depressiva.

Come osserva il dott. Cosimo Santi, Psicologo Firenze «i pazienti depressi solitamente lamentano insonnia, in particolare difficoltà ad addormentarsi, frequenti risvegli durante la notte, un risveglio precoce al mattino e un sonno non ristoratore». Gli studi sul sonno dei soggetti depressi hanno confermato queste alterazioni.

L’organizzazione interna del sonno di questi soggetti è risultata non efficace. In particolare, i pazienti depressi presentano una significativa riduzione della prima fase REM (Rapid Eye Movment), ovvero quella parte del sonno in cui la probabilità di sognare è molto elevata e che si ripresenta ciclicamente ogni 90 minuti.

Il 70% del sonno viene passato nelle così dette fasi non-REM ed il rimanente 30% nelle fasi REM. Il sonno REM è caratterizzato da una intensa attività cerebrale che assomiglia a quella della veglia, presentando onde cerebrali rapide e di bassa ampiezza (misurabili attraverso l’elettroencefalogramma), un aumento della frequenza e della pressione cardiaca, un incremento del metabolismo e della temperatura cerebrale.

Nella fase REM si fanno dei sogni particolarmente vividi tanto che se svegliamo il dormiente in questa fase del sonno, diventa possibile raccogliere un racconto nitido e particolareggiato del sogno, ben diverso quindi dalle ricostruzioni approssimative tipiche del risveglio normale. Si è visto infatti che nelle rimanenti fasi del sonno, in cui non sono presenti movimenti oculari rapidi, le fasi non-REM, mente e cervello procedono nel loro lavoro attraverso immagini, sensazioni e pensieri più o meno frammentate, come se fossero impegnati in un’attività “defaticante”.

Nei pazienti che presentano depressione, sono stati riscontrati notevoli incrementi nell’intensità dei movimenti oculari rapidi e una riduzione del sonno a onde lente (SWS, Slow Weave Sleep), ovvero quella fase del sonno più profonda e ristoratrice.

Paradossalmente, seppure lamentino perdita di sonno, i pazienti depressi mostrano un significativo miglioramento dell’umore dopo una notte di deprivazione di sonno. Questo effetto, così come l’azione dei farmaci antidepressivi, è dovuto ad un miglioramento della neurotrasmissione serotoninergica.

Un importante studio di revisione sull’argomento, condotto dal prof. Pace-Scott (2003) della Cambridge University, ha rilevato che negli ultimi trent’anni l’effetto antidepressivo della deprivazione di sonno è stato studiato in più di 1700 pazienti.

In questi studi la deprivazione di sonno ha ridotto la sintomatologia depressiva nel 60% dei casi dopo una sola singola sessione e in quasi il 90% dei casi dopo tre sessioni. Tuttavia questo effetto non è stato permanente e la ricomparsa dei sintomi è avvenuta immediatamente dopo il primo recupero di sonno.

È interessante considerare che i meccanismi neurobiologici risultanti dal trattamento farmacologico antidepressivo e dalla deprivazione di sonno, suggeriscono che la perdita di sonno di alcuni pazienti insonni o depressi può essere un processo compensatorio endogeno di tipo terapeutico piuttosto che patologico. Questa ipotesi suggestiva apre la strada a nuove strategie nel trattamento della depressione, una tra tutte la riduzione programmata del sonno.

 

Per approfondire:

Pace-Scott E., Solms M., Blagrove M., Harnad S. (2003). Sleep and Dreaming, Cambrige University Press.